“Ti accompagna nel corso di questa vita”
Sappiamo che il sacramento della Carità del Sangue occupa posto di primaria importanza nella vita e nell’insegnamento del nostro beato Padre.
Nel precedente contributo abbiamo visto come la liturgia eucaristica, a mano a mano che si avvicina il momento della comunione, sollecita a porre le condizioni ideali per accogliere il Signore Gesù. È una delle lezioni messe particolarmente a fuoco nella meditazione sulla pace: “… e quando io vengo, la pace sta alla porta del tuo cuore per farmi un tenero accoglimento”.
In questo ci proponiamo, secondo quanto promesso, di vedere nell’Eucaristia il sacramento che non solo conserva e consolida la pace ricevuta in quello della Riconciliazione, ma anche il sacramento istituito per significare e conferire la pace sia tra la SS. Trinità e noi, sia tra noi e i fratelli: quella pace che Gesù ha siglato con l’effusione del suo PP.mo Sangue, visto che Egli stesso, animato dallo Spirito paraclito (Eb 9,14) e, quindi, in atto di inimmaginabile amore, e per il Padre e per l’umanità, ha affermato che il suo “è il Sangue della nuova ed eterna alleanza”, del patto, cioè, che la SS. Trinità, sempre a manifestazione di supremo, massimo amore, ha voluto stipulare con l’umanità.
Ogni patto contiene clausole, che i contraenti s’impegnano a onorare.
Le clausole dell’Alleanza
Fin dall’Antico Testamento la SS. Trinità aveva assicurato: “Porrò il mio spirito dentro di voi… Voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio” (Ez 36,23.27-28; cfr. Ger 31,33).
È quanto il Signore Gesù ha realizzato nel momento in cui ha versato il suo PP.mo Sangue: “Questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza”. Lo ha insegnato, tra gli altri, il teologo Bonsirven: la “tesi dogmatica centrale dell’epistola” agli Ebrei è che Gesù, “mediatore di una nuova alleanza” (Eb 9,15), ha annullato “il peccato mediante il sacrificio di se stesso” (v. 26) e, “assiso alla destra di Dio” (Eb 10,13), ha instaurato “la nuova alleanza, che comprende la soppressione totale dei peccati, la purificazione interiore e, per conseguenza, l’accesso a Dio”. Questo significa che il Verbo si è incarnato, è morto, è risorto, è asceso al cielo e ha effuso, insieme con il Padre, lo Spirito di purificazione e di santificazione per un’intima, profonda pacificazione e con lo stesso Padre e con tutti gli altri suoi figli.
Con la Pentecoste, la SS. Trinità ha definitivamente realizzato le sue promesse e – non dimentichiamolo! – grazie al Sangue sparso da Gesù, ha effuso lo Spirito. Noi, poi, siamo stati perdonati e pienamente pacificati, siamo stati elevati a dignità di figli, siamo divenuti membra del Corpo di Cristo, abbiamo avuto il dono di vivere nell’amore.
Vivere nell’amore dei figli
Vivere nell’amore e produrre fatti di amore, sia per il Padre che per i fratelli, significa vivere nella nuova ed eterna alleanza. In quella antica i credenti si erano impegnati a osservare i dieci comandamenti. A noi della nuova viene riproposto il Decalogo, ma ci viene anche ricordato che questo “e qualsivoglia altro comandamento” sono riassunti dalle parole: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” e che “pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,9-10).
Solo che, nel “discorso” tenuto dopo la Cena e nel contesto della rivelazione sull’effusione e sui compiti dello Spirito, Gesù ha precisato: “Vi do una comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato” (Gv 13,34-35). Chiara la novità: “Come io vi ho amati” e gli Apostoli lo hanno evidenziato a più riprese: “Camminate nella carità nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2). Giovanni, il discepolo dell’amore, arriva, anzi, all’ultima delle conclusioni: “Egli ha dato la vita per noi, quindi, anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1Gv 3,16).
Il comandamento dell’amore come Cristo è, in altre parole, la quintessenza del codice della nuova alleanza. Ma anche la parte, che Dio assicura, raggiunge il suo culmine nell’effusione dello Spirito.
Notiamo, tra parentesi, che il Padre fondatore dev’essere stato calamitato da affermazioni come quelle riportate… Ma continuiamo la nostra meditazione.
Tra l’effusione dello Spirito e l’amore vicendevole come Gesù c’è stretta connessione: si può affermare che, per noi, oggi, la SS. Trinità ha voluto condizionare l’effusione dello Spirito all’osservanza dei comandamenti di Gesù: “Se mi amate osservate i miei comandamenti e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro consolatore” (Gv 14,15s).
Posta, dunque, la condizione dell’osservanza dei comandamenti di Gesù, segue, da parte sua, l’impegno a chiedere al Padre di effondere lo Spirito. Anzi: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,18-21).
Ecco perché la carità – e questo deve avere sapore di carisma e richiamarcelo – è la “via migliore di tutte” le altre virtù (1Cor 12,31). Se – noi in particolare – non la percorressimo, anche se fossimo poliglotti e avessimo il carisma della glossolalia e del canto in lingue e della profezia e della sapienza e della scienza e della fede che abilita a operare miracoli… saremmo come bronzo che risuona o cembalo che tintinna; saremmo nullità e a niente tutto questo gioverebbe (cfr. 1Cor 13).
E l’Eucaristia?
Oggi tutto questo si realizza nell’Eucaristia: “Per la partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, ha insegnato Paolo VI nella Eucharisticum Mysterium, 38, si spande abbondantemente su ciascuno dei fedeli il dono dello Spirito Santo come acqua viva (cfr. Gv 7,37-39)…”.
Questo significa che l’Eucaristia vissuta lungo la giornata, a imitazione di Cristo che si dona al Padre e ai fratelli, è il sacramento della pace non solo con Dio, ma anche con i fratelli. Lo leggiamo nell’Instrumentum laboris (2005) del Sinodo del Vescovi su L’Eucaristia, fonte e culmine della missione della Chiesa: “L’Eucaristia è il sacramento della pace, portata a compimento in seguito alla riconciliazione con Dio e con il prossimo nel sacramento della Penitenza. Essa rende attuale la grazia che il Signore risorto ha espresso con le parole “pace a voi” (Gv 20,19)”. Essa, anzi, “rafforza di per sé tale dono della pace e offre a tutti quelli che la ricevono la grazia di diventare essi stessi operatori di pace nei loro luoghi di vita e di attività” (n. 82) e “i fedeli devono riscoprire l’Eucaristia come forza di riconciliazione e di pace con Dio e con i fratelli” (n. 83).
Ecco perché, ricorrendo al sacramento della riconciliazione “con frequenza” (CDC 664) e alla quotidiana comunione eucaristica, potremo conservarci e anche crescere nella pace con il Signore e tra noi.
Lo ha insegnato anche il Beato Giovanni XXIII (in Discorsi, Messaggi, Colloqui): “Gesù, ‘pane della vita’ (Gv 6,35), unico e solo alimento essenziale dell’anima, accogli tutti i popoli alla tua mensa (…). Nutriti da te e di te, gli uomini saranno forti nella fede, allegri nella speranza, attivi nella carità. Le buone volontà trionferanno sulle trappole tese dal male; trionferanno sull’egoismo e sulla pigrizia”.
Lo aveva affermato – e di questo dobbiamo essere santamente orgogliose – anche il nostro Profeta sia nelle Regole e Costituzioni (II,VI,3):“Unite a Gesù facilmente saranno unite fra loro stesse coi legami di scambievole carità, e godranno quella pace e concordia che è frutto di tale sacramento”; sia nella meditazione che stiamo presentando: “Così questa pace, Figlia mia, (…) regola, dirige, consola e ti accompagna nel corso di questa vita”.
Pietro Schiavone S.I.
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